“Per aprire gli
occhi
ci può volere
tutta la vita.
Vedere, però,
accade in un
lampo”.
(Proverbio cinese)
Nonostante
la stanchezza, Cristina non chiuse occhio. Si girava e rigirava in quel letto,
pensando al suo cucciolo. Come aveva fatto a non capire prima che ne era
innamorata? Se, anziché tormentarsi con
i suoi fallimenti, si fosse guardata meglio accanto, avrebbe capito in tempo
che, in fondo, la “profezia” delle tombolate si era avverata per lei, perché
l’anima gemella l’aveva avuta, da sempre, vicino. Invece se n’era andata,
eliminando così ogni possibilità di realizzare i suoi sogni. “Però, com’è la
vita. - pensò - Sono andata via di qua, facendo soffrire tutti e soffrendo io
stessa, con la speranza di trovare altrove ciò che cercavo. Per tre anni ho
frequentato gente diversa, convinta che prima o poi avrei fatto centro, e
invece... sono dovuta tornare qui, nella mia terra, dai miei amici, per
scoprire che la felicità l’avevo a due passi da me. Ma, ormai, è troppo tardi.”
Angosciata da quel pensiero, scoppiò a piangere chiedendosi perché le cose
dovevano mettersi sempre male. In fondo, a Milano, non pensava a lui, perché
ora aveva dovuto incontrarlo di nuovo? Perché se n’era accorta solo adesso? E
chi era, poi, questa Emiliana... cosa aveva avuto di così accattivante per lui?
Si sentiva, veramente, depressa, per cui cercò di allontanare quei tristi
pensieri leggendo un po’. Trovò, fra gli scaffali della sua vecchia libreria,
un piccolo libricino che, quasi a voler rispondere a tutte le domande che le si
stavano affollando nella testa, le offrì un ottimo spunto di riflessione. Le si
presentò, infatti, dinanzi agli occhi una poesia di Edgar Lee Master:
“Un
senso alla vita
L’amore mi si offrì e io
mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta
e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò
ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame
di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna
alzare le vele
e prendere i venti del destino
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita
può condurre alla follia
ma una vita senza senso
è la tortura
dell’inquietudine
e del vero desiderio
è una barca che anela al mare
eppure lo teme”.
La lesse
tutta d’un fiato, cercando risposte ai suoi insistenti perché! Fu così che,
scorrendo, numerose volte, quelle righe, giunse l’alba. Alzandosi svogliatamente dal letto, si recò
sul balcone in camicia da notte, per gustarsi lo spettacolo. Aveva quasi
dimenticato la maestosità e lo splendore del sole che sorge dalle acque del
mare: un globo infuocato che si fa largo tra i flutti, per emergere piano piano
e raggiungere, così, quel cielo, freddo della notte, che aspetta ansioso che
prenda dimora tra le sue nuvole. Così, estasiata da tanto splendore, dimenticò
presto le sue afflizioni e, riscaldandosi al tepore di quell’alba, decise di
indossare presto una tuta per uscire a fare un po’ di jogging. Con le cuffie
nelle orecchie, che le trasmettevano le dolci note di “Whenever you call” di
Mariah Carey, corse a perdifiato, sul Lungomare deserto, respirando la fresca
aria mattutina. Era piacevole sentire il vento tra i capelli che,
scompigliandosi, le provocavano dolci carezze sul viso. Si sentiva leggera,
mentre correva a passo ben cadenzato e sempre uguale: avrebbe voluto volare
ma... non era poi così leggera! Quando, poi, si sentì mancare il fiato, si
fermò e scese sulla spiaggia per camminare sul bagnasciuga, con i piedi immersi
nell’acqua tiepida del mattino. Respirò a pieni polmoni quell’aria marina
quindi, cominciò a tirare sassolini in mare per vedere se era ancora capace di
farli saltare più volte a pelo d’acqua. Intanto, si stava avvicinando a riva
una piccola barca con sopra due uomini che tornavano dalla pesca notturna.
Visionò, avidamente, la loro merce per poi acquistare un grosso polipo da
preparare in insalata. Col suo bel fagotto sulle spalle, rientrò a casa e,
tutta contenta, si precipitò a fare vedere alla mamma, che stava facendo
colazione, quello che aveva comprato: “La prepari quella buonissima insalata
che sai fare tu? A pensarci, ho già l’acquolina in bocca... Ho fatto bene a
prenderlo, vero? Oppure avevi in mente qualcos’altro?”
“Veramente,
avevo pensato di cucinare le orate al cartoccio, che ti piacciono tanto. Non
credo che tu ne abbia mangiate tante a Milano.”
“In
effetti, ne ho dimenticato pure il sapore... ma non possiamo fare tutt’e due le
cose? In questi giorni, ho deciso di rimpinzarmi di tutte le cose buone che sai
fare. Non m’importa di ingrassare, tanto ho tutto il tempo per dimagrire. Posso
dire a Paola di venire a pranzo?”
“Certamente.
Se vuoi puoi invitare anche Daniele. Stai così poco che è meglio che approfitti
di ogni momento per stare con loro.”
“Grazie, ma
credo che lo dirò solo a Paola”, rispose abbassando lo sguardo.
“Ehi! Cos’è
successo? Non mi dire che hai già litigato con lui, come sempre.”
“No, no. Si
è fidanzato, per cui non credo che verrà e poi, devo andare pure da Marta,
quindi non è proprio il caso di dirglielo”.
“Fai come
vuoi... Comunque, a scanso di equivoci, sappi che anche se sei stata lontana
per un po’, io resto sempre tua madre e riesco a leggere nei tuoi occhi meglio
di chiunque altro.”
“Si può
sapere cos’è questa puzza che si sente?”
“Buongiorno
papà! Sempre di buonumore, eh? Sono uscita a fare una corsetta ed ho comprato
questo polipo fresco fresco. Bello, vero?”
“Come no?
Soprattutto a prima mattina, quando le persone civili fanno colazione, non c’è
niente di più appetitoso di un polipo morto che appesta una cucina.”
“Uffa, come
sei esagerato. Non cambi mai!” borbottò Cristina, mentre usciva dalla cucina
per andare a farsi una doccia. “Sarà meglio che mi sbrighi - pensò - se non
voglio arrivare tardi a casa di Marta”.
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