Adesso che ho il mio blog, ho deciso di proporveli ma a piccole dosi (non mi va di annoiarvi) capitoletto per capitoletto nella speranza che possano piacervi.
CON TE AMICO
CAPITOLO I
"Ci vuole tanta
forza e tanta dolcezza per vivere e per amare.
Non tanto per te
stesso, che hai cicatrici dentro e fuori comunque,
ma per gli altri,
che possono essere più deboli e più fragili,
e possono soffrire
senza dirtelo.
E sono proprio
quelli che ti amano di più.
(P. Mosca)
“Ecco, il
momento tanto atteso era arrivato: lui le si stava facendo sempre più vicino e
lei poteva, finalmente, vedere chi era il suo spasimante. Le cinse le spalle,
stringendola a sé...!”
Si avvisano i signori viaggiatori che stiamo per
entrare nella stazione di Roma Termini.
Cristina
ebbe un sussulto. Si svegliò di soprassalto e, stiracchiandosi un po’, borbottò
tutto il suo rammarico per essere stata distolta dai suoi sogni: “Caspiterina!
E’ sempre la stessa storia: proprio sul più bello, quando sto per vedere il
viso del mio uomo misterioso, c’è qualcuno o qualcosa che mi sveglia. Uffa,
uffa e ancora uffa!”.
Le persone
del suo stesso scompartimento, intanto, la stavano guardando un po’ perplessi
mentre il giovane, seduto di fronte a lei, vicino al finestrino, cercava di
soffocare una risatina. Si mise a ridere pure lei, non appena si rese conto
della cattiva figura e, prendendo il sacchetto dallo zaino, cominciò a
sgranocchiare le sue gustosissime patatine. Mancavano ancora sei ore all’arrivo
a casa, in Calabria, dove la stavano aspettando i suoi parenti e, ovviamente,
tutti i suoi amici. Ancora non riusciva a credere che Marta, la sua migliore
amica fin dai tempi della scuola, si sarebbe sposata tra sette giorni. Che
emozione! Era per questa ragione che ora lei si trovava su quel treno: non
poteva certo mancare a quel matrimonio, anche perché le avrebbe fatto da
testimone. Scelta quasi obbligata, questa, considerato che era stata lei,
quattro anni prima, a spronare l’amica a “buttarsi” in quella storia. Ricordava
ancora il giorno in cui, con la voce tremante, Marta le aveva telefonato
dicendole che si era innamorata. Aveva incontrato Marco durante la lezione di
pedagogia comparata e, da quel momento, non riuscì più a distogliere lo sguardo
da quel brunetto, un po’ “stempiato”. All’inizio, Cristina l’aveva presa a
ridere: canzonava l’amica e la sua passione per quelli con la fronte un
po’ “alta”; quando cucinava la pizzaiola,
si divertiva a stuzzicarla: “Toh! Guarda un po’ chi c’è in questa scatola di
pomodori pelati? Ciao Marco, tutto bene? Ti dispiace se adesso ti cucino e poi
ti mangio?”. Scherzi a parte, era
contenta per l’amica che aveva, sicuramente, trovato un ragazzo d’oro: serio,
intelligente e, soprattutto, innamorato. E adesso, dopo quattro anni, Marco e
Marta stavano per sposarsi e avevano chiesto a lei di testimoniare su
quell’amore. Quante parole si spendono, ogni giorno, per celebrare questo dolce
sentimento. Fin dalla creazione del mondo, poeti, cantori, artisti di ogni
genere, si sono prodigati per immortalare l’amore con una parola, una poesia,
un quadro, una canzone. E non bisogna, per forza, andare a cercare nelle opere
dei “grandi”, perché chiunque abbia provato, in fondo al proprio cuore, l’ebbrezza
del sentirsi innamorato riuscirebbe a parlarne. Le venne in mente, in
proposito, una considerazione sull’amore di Alex Noble: “Ah, la forza meravigliosa che fluisce fra due persone quando si amano
abbastanza per scavalcare schermaglie e apparenze, quando vogliono affrontare
il rischio di essere totalmente aperte, di ascoltare, di corrispondersi con
tutto il cuore. Quanto possiamo fare gli uni per gli altri!”. È un rischio,
è vero: non è facile donare totalmente se stessi ad un’altra persona ma, quando
si ama davvero, lo si fa spontaneamente, senza pensarci più di tanto. Giorno
dopo giorno, aumenta sempre di più il desiderio di vivere per l’altro; di
prenderlo per mano e tenerlo stretto a sé; di affondare il viso fra le sue
braccia e di sentire, continuamente, le sue mani prodigarsi in tante piccole,
dolci carezze che sembrano farci sfiorare il cielo. E tutto questo per colpa, o
per merito, dell’amore, quello stesso amore che, fra pochi giorni, avrebbe
permesso a Marta e Marco di sposarsi. Che emozione! Ma la gioia di Cristina era
dovuta, anche, al fatto che, presto, avrebbe potuto riabbracciare i suoi vecchi
amici: non li vedeva ormai da quasi tre anni, da quando, cioè, era andata via
dal suo paese per dimenticare le brutte esperienze trascorse e ricominciare
tutto daccapo. Com’era stato difficile all’inizio: andarsene così lontano, da
sola... quanta solitudine aveva sofferto e quanto le erano mancate le serate
con gli amici, le risate, le gite fuori porta, le confidenze. Ma, in ogni caso,
l’amarezza per ciò che aveva vissuto con Lorenzo, prima, e Davide, dopo,
l’avevano convinta a cambiare aria: bisognava dare un calcio al passato e
fuggire lontano, e così fece. Ora le cose le andavano discretamente! Aveva un
lavoro appassionante che le permetteva di stare, quotidianamente, a contatto
con la sua grande passione: i bambini. Dopo la laurea in psicologia, infatti,
si era specializzata in psicologia pediatrica e, adesso, faceva parte di
un’equipe medica che si occupava di bambini handicappati. Si sentiva gratificata
da questo lavoro: ogni giorno, infatti, poteva essere utile a qualcuno che
aveva realmente bisogno di lei, compensando così, in qualche modo, la sua
intima solitudine.
Con la
fronte appoggiata al finestrino, cercò di allontanare la malinconia concentrandosi
su ciò che l’aspettava una volta giunta a casa. Avrebbe trascorso parte della
giornata con i suoi genitori, che si lamentavano sempre di vederla troppo poco.
Non si erano mai rassegnati alla sua lontananza ed ogni giorno le chiedevano
quando sarebbe tornata. Cristina sapeva fin troppo bene che, andando via, aveva
loro arrecato, forse, il più grande dolore della loro vita, ma non aveva potuto
farci niente. Continuare a stare a casa avrebbe significato rivivere, ora dopo
ora, giorno dopo giorno, quel sottile dolore che l’aveva fatta crescere, forse,
troppo in fretta. Per cena sarebbe uscita con i suoi amici, andando a fare
baldoria, magari, in uno dei locali che frequentavano tempo prima. Nonostante
la lontananza, era riuscita a mantenere i contatti con tutti loro: non avrebbe,
d’altronde, permesso a niente e a nessuno di portarle via l’immenso tesoro che
quei ragazzi le avevano donato così disinteressatamente. Nei suoi momenti più
difficili, infatti, erano stati proprio loro a confortarla con la propria
presenza. Avevano avuto la capacità e, soprattutto, la pazienza, di starle
accanto sempre e comunque. Teneva ancora, gelosamente conservata, una piccola
pergamena che Paola le aveva regalato in occasione del suo ventisettesimo
compleanno. Si trattava di un inno all’amicizia, scritto da Giovanni
Crisostomo: “Un amico fedele è un balsamo
nella vita, è la più sicura protezione. Potrai raccogliere tesori d’ogni genere
ma nulla vale quanto un amico sincero. Al solo vederlo, l’amico suscita nel
cuore una gioia che si diffonde in tutto l’essere. Con lui si vive un’unione
profonda che dona all’animo gioia inesprimibile. Il suo ricordo ridesta la
nostra mente e la libera da molte preoccupazioni. Queste parole hanno senso
solo per chi ha un vero amico; per chi, pur incontrandolo tutti i giorni, non
ne avrebbe mai abbastanza”. Le sfuggì una lacrima a quel ricordo: niente in
confronto a tutte quelle che aveva versato in passato. Ma loro, i suoi amici,
erano sempre stati presenti, con una parola o con tutta la forza del loro
silenzio, ad asciugarle, delicatamente, quelle perle di dolore ed a strapparle,
inaspettatamente, un sorriso. Sapevano, infatti, molto bene che, per essere
davvero d’aiuto a chi ne ha bisogno, a nulla serve capire il perché si piange:
l’unica cosa essenziale è esserci.
“Questa è la vera amicizia - pensò - niente parole inutili, niente
ostentazioni, magari solo un semplice ciao, ma tanto carico di amore e
complicità da non richiedere altro”. Se qualcuno le avesse chiesto, in quel
momento, di definire l’amicizia lei, sicuramente, si sarebbe limitata a fornire
dei nomi: perché sforzarsi, infatti, di trovare parole giuste ma, comunque,
sempre astratte, quando poteva indicare semplicemente degli esempi concreti?
Andava fiera della sua comitiva! Essa costituiva, senza ombra di dubbio, la
parte più bella del suo passato: l’unico ricordo per cui valeva la pena
voltarsi indietro... ogni tanto. All’ombra di questi pensieri, Cristina prese
la sua agenda e provò a scrivere qualcosa: chissà, magari riusciva a comporre
un madrigale per Marta e Marco. Sapeva bene, infatti, che era proprio nei
momenti in cui si sentiva un po’ triste che riusciva a scrivere meglio, e
questo era uno di quei momenti. Giocherellò un po’ con la penna, fino a quando
l’ispirazione le arrivò:
“Anima
Anima mia, dolcissimo sussurro di vita, tu che da
sempre accompagni il mio cammino, nelle difficili strade della vita, dimmi
cos’hai, svelami il tuo dolore, ed io proverò a darti, anche solo per un
attimo, momenti di grande felicità che ti faranno assaporare il dolce miele del
Paradiso. Ora che soffri e piangi, ti senti troppo debole ed indifesa; hai
paura di esporti troppo, perché sai che ora, più di ogni altro momento, sarai
colpita più a fondo: ti potranno ingannare, ti potranno maltrattare, ti
potranno persino uccidere, tu non saprai dire di no, tu non saprai resistere,
tu non saprai opporti. Cosa fare allora? Vuoi arrenderti, gettare la spugna,
uccidere i tuoi sogni? Non sarebbe meglio reagire, gridare, tirare fuori tutta
la tua rabbia e poi... quando la calma si sarà nuovamente impossessata di te,
guardarti intorno e scoprire che.... il mondo ti sta sorridendo, ti sta
chiamando, ti vuole bene .A questo punto potranno pure prenderti in giro,
calunniarti, condannarti, tu non li sentirai nemmeno perché sarai troppo
impegnata a ridere con chi ti vuole, finalmente, bene. Tirati su, piccola mia,
perché se muori tu sarò costretta a morire anch’io e credimi, non voglio. Mi
piace troppo vivere, mi piace troppo andare avanti e tu, vita mia, seguimi! Per
un momento facciamo finta che sia io a condurre il gioco: lasciati andare,
almeno per una volta, ai miei desideri. Non è poi tanto male sai? Quando poi
sarai stanca di lottare, stanca di seguirmi, stanca di vivere... chiamami: io
ti seguirò placidamente... senza resisterti! Ma ora no, è ancora troppo presto
per dormire, si può sognare anche da svegli fra le braccia di un amico che ti
vuole, finalmente, bene e, questa volta, non dovrai avere paura delle
delusioni, piccola cara, perché ormai non sei più sola!”
Non
era proprio ciò che aveva intenzione di scrivere ma, tutto sommato, era
riuscita a sfogare un altro po’ di rabbia che teneva chiusa, dentro di sé,
ormai da troppo tempo. “Pazienza! - si disse - Vorrà dire che per Marta
scriverò un’altra volta”.
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