“Quando
si è visto una volta sola
lo
splendore della felicità
sul
viso di una persona che si ama,
si
sa che per un uomo non ci può essere altra vocazione
che
suscitare questa luce
sui
visi che lo circondano”.
(A.
Camus)
Il viaggio
proseguì tranquillamente. Con sua enorme sorpresa, Cristina si accorse di
essere entrata nella stazione di Lamezia Terme in perfetto orario: “Finalmente
a casa” pensò. Cominciò a tirar giù dal portabagagli le pesanti valigie che
aveva portato con sé; ripose il sacchetto del pranzo nello zainetto; si sistemò
i capelli; si deterse il viso con una salviettina umidificata; indossò la
giacca e si avviò nei corridoi, in attesa
di scendere. Sentì un brivido percorrerle la schiena: emozione o paura?
Non riuscì a decifrare per bene quelle sensazioni, sapeva solo che stava
tremando e, certamente, non era per il freddo. Ecco, adesso le porte si stavano
aprendo, cinque persone davanti a lei stavano scaricando, uno ad uno, tutti i
bagagli per poi scendere: adesso era il suo turno. Proprio nel momento in cui
stava portando giù le valigie, vide un uomo avvicinarsi: aveva i capelli
bianchi, ma i tratti del suo volto erano rimasti inalterati: “Papà! - gridò,
lasciando cadere il bagaglio e gettandogli le braccia al collo - Come stai? Ti
trovo bene! E la mamma, dov’è la mamma?”. Con lo sguardo cercava di scorgerla
tra la gente fino a quando i suoi occhi si posarono sulla figura eretta della
madre. Anche lei era rimasta la stessa: solo qualche ruga in più, testimone del
tempo che trascorreva. Corse verso di lei, incurante del fatto di aver lasciato
le valigie davanti la porta del treno, ostruendo il passaggio ai viaggiatori.
“Sei sempre la stessa - la rimproverò dolcemente la mamma che, intanto, stava
piangendo dalla gioia - vai a prendere le valigie prima che qualcuno cada e si
faccia male”. Raccolte, dunque, le sue cose, il terzetto si diresse verso la
macchina chiacchierando allegramente del più e del meno. “Fa freddo a Milano?
La vita è sempre cara? Ed in ospedale come ti trovi? Perché non vedi se riesci
a trovare anche qui una sistemazione, così ti eviti di stare tutta sola
all’altro capo del mondo?”. “Eccoli qua, dunque, mamma e papà, con i loro
soliti discorsi, le loro solite preoccupazioni, le loro solite raccomandazioni...
non cambieranno mai! - così pensava Cristina mentre, con la macchina, si
apprestavano a tornare a casa - Ho ormai
compiuto trent’anni e mi trattano ancora come una bambina: la piccola di casa”.
Non aveva avuto fratelli né sorelle e, pertanto, era sempre stata coccolata
fino all’inverosimile. Viziata da nonni, zii e genitori, Cristina era cresciuta
in un ambiente dove forte si respirava l’armonia familiare. Adorava la sua
famiglia e mai avrebbe pensato di doversene separare. Il suo pensiero tornò
indietro di qualche anno, soffermandosi sul ricordo, a lei molto caro, delle
feste in cui tutti i parenti si riunivano. Tre generazioni si ritrovavano, in
quelle occasioni, a banchettare e festeggiare insieme compleanni, onomastici,
anniversari, domeniche, Natali.... già, i Natali! Quanti ne avevano trascorsi
insieme, ben ventisette. Dei primi non ricordava nulla, se non qualche
piccolissimo flash-back in cui rivedeva il suo adorato nonnino nell’arte di
preparare il Presepe. Sembrava un rituale: lo allestiva nel grande salone dove
veniva, opportunamente, sistemato un
tavolo di grosse proporzioni che occupava l’intera parete sotto la
finestra. Accanto ad esso, era messo un tavolino più piccolo dov’erano
appoggiate due bacinelle: una contenente vernice marrone e l’altra contenente
colla liquida e calce. Lì vicino, impilati ordinatamente, numerosi fogli di
giornale che aspettavano di essere appallottolati e sottoposti al trattamento.
Si rivedeva piccina, accanto al suo caro nonno, che allora le sembrava un gigante,
ad osservare la cura con cui si succedevano le varie fasi: per prima cosa,
venivano strapazzati i fogli che, ridotti a delle palle rudimentali, venivano
passati prima nella colla e poi nella vernice; quindi venivano adagiati sul
tavolo grande e modellati fino ad assumere la forma delle montagne. Terminata
quest’operazione, si procedeva alla sistemazione delle casette e dei pastori.
In alto venivano sistemati i soggetti più piccoli, con grande meraviglia di
Cristina che, a quattro anni, non poteva
sapere nulla riguardo ai giochi di prospettiva. Man mano che si scendeva,
i pastorelli si facevano più grandi e nelle casette cominciavano ad
intravedersi persino le luci: “Nonno, come fanno ad entrarci le persone in una
casetta così piccola?”, aveva chiesto una volta afferrando una di quelle
scatolette illuminate, rischiando di fare saltare l’impianto. E poi, come
dimenticare il magico momento, la notte di Natale, della deposizione del
Bambinello nella mangiatoia: il più piccolo della famiglia doveva passare fra
tutti i parenti con in mano quella minuscola culla, contenente Gesù Bambino,
stando bene attento a che tutti baciassero quel bambolottino. Quell’anno, la
scelta del “più piccolo” era tra lei e il suo cuginetto: si optò per lei, non
fosse altro che per evitare i pianti che ne sarebbero seguiti. E così, allo
scoccare della mezzanotte, mezza addormentata, si ritrovò a camminare per il
grande salone, porgendo a tutti il suo fagottino per poi, insieme al nonno,
adagiarlo nella grotta, dove S. Giuseppe e la Madonna lo stavano attendendo.
“Cristina? Che fai? Sogni ad occhi aperti? Guarda che siamo arrivati!”. Tornata
in sé, rivide le immagini familiari, ma sempre più lontane, della sua casa: un
palazzotto, dalle mattonelle marroni, che fronteggiava il mare. Già, il mare...
“Mamma, scendo un attimo in spiaggia! Voglio vedere se tutto è rimasto per come
me lo ricordo”. Ed era, proprio, rimasto tutto inalterato: le barche sulla
spiaggia in attesa della bella stagione per poter, nuovamente, tornare in mare
per la pesca; la spiaggia perlata, a tratti insudiciata dai rifiuti dei soliti
vandali; i gabbiani, a pelo d’acqua, che facevano a gara per procurarsi il
pranzo; e poi il sole, splendente su quell’azzurro cristallino, che creava
strani e abbaglianti giochi di luce. Il tempo aveva deciso di fermarsi in quel
ridente paesino del Sud e Cristina gliene fu profondamente grata. “Vi è una prodigiosa forza salutare nella
natura. Spesso lo spettacolo di un bel cielo al tramonto, che fiammeggia come
una promessa; di una fulgida stella, la quale sembra portare un saluto della
vita anteriore, l’odore di un fiore, che parla della primavera e della
resurrezione, ridà all’anima oppressa la speranza e il coraggio della vita”
(Sophie Verena). Si voltò a guardare i suoi genitori, intenti a scaricare i
bagagli dalla macchina. Corse verso di loro piena di euforia e gioia e,
abbracciandoli con calore, si diresse verso casa. “Quanto mi siete mancati... -
disse più a se stessa che a loro, mentre una lacrima le rigava il viso - Vi
voglio bene!”.
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