domenica 15 gennaio 2012

Con te amico, Capitolo III

“Per raro che sia vero amore,
è meno raro della vera amicizia”.
(F. de la Rochefoucauld)

Cristina aveva da poco varcato la soglia di casa quando il telefono cominciò a squillare: “Ma eri incollata al telefono? - tuonò una voce all’altro capo del filo - Bentornata!”
“Ciao Paola, aspetta che ti passo Cristina”
“Signora, mi scusi ... è che ha la stessa voce di sua figlia!”
“Pronto?”
“Eccoti, finalmente! Bella figura che mi hai fatto fare con tua madre... come sempre”
“Comunque, bentrovata!”
“Hai ragione, scusami! Senti, ti richiamo fra un minuto e ricominciamo, okay?”
“Ma non fare la stupida... non cambi mai, vero? Meglio così, in ogni caso. Come stai, stellina?”
“Ma allora lo ricordi ancora? Dio, quanto tempo è passato... quando mi hai detto che scendevi non ci volevo credere.. ma ora sei qui, al telefono... quando ci vediamo? Scendo a prenderti? Vedrai che sorpresa ti abbiamo preparato... resterai a bocca aperta, così poi vediamo se hai ancora voglia di andartene a Milano!”
“Perché non prendi un po’ di fiato? Intanto sono appena arrivata, devo ancora pranzare, disfare le valigie, farmi una doccia, stare un po’ con i miei... poi in serata posso raggiungerti o... hai detto <<abbiamo>>? Questo significa che non sei sola, chi c’è oltre a te?”
“Lo vedrai, lo vedrai! Ogni cosa a suo tempo... non vedo l’ora di riabbracciarti amica mia. Sapessi quanto mi sei mancata... ma ora bando ai sentimentalismi: sono solo <<formalità>>, come dice un <<cucciolo>> di nostra conoscenza, ricordi? Noi eravamo le <<puerili>>, lui il grand’uomo! Ci sarà pure lui stasera. Perciò, adesso, fai tutto ciò che devi fare e poi... ti vengo a prendere a casa tua stasera, alle otto in punto, non fare tardi. A proposito: TVTTTTTTTTTB!”
“A stasera allora, e anch’io TVTTTTTTTTTTB! Un bacione”.
Riattaccò il telefono con aria festosa: era felice! Cosa poteva volere di più dalla vita... due genitori fantastici, una famiglia unita e tanti, tanti amici che non vedevano l’ora di rivederla. “Non ha perso tempo l’amica tua?” le disse il padre, prendendola un po’ in giro. Già, non aveva proprio perso tempo, come avrebbe potuto: dopo i suoi genitori, Paola era stata la persona che aveva risentito di più della sua assenza. Il giorno prima della partenza, Cristina aveva cercato di consolare l’amica (cercando conforto ella stessa) ricordandole una frase di Gibran: “Se vi separate dall’amico non addoloratevi, perché la sua assenza v’illumina su ciò che più in lui amate”. Tuttavia, per quanto vere potessero essere quelle parole, era davvero difficile separarsi da lei: si erano ormai abituate a stare sempre insieme; quando non potevano incontrarsi, si sentivano per telefono almeno due volte al giorno. Avevano addirittura escogitato una sorta di codice telefonico basato sul computo degli squilli: ad ogni tot di squilli corrispondeva un preciso messaggio. Si ritrovarono, così, a comunicare tranquillamente senza spendere un centesimo. Nel giro di pochi mesi avevano creato un’amicizia così grande da destare un po’ l’invidia di tutti. E pensare che si conoscevano da parecchi anni, ma non avevano mai avuto la possibilità di capirsi davvero. Avevano frequentato la stessa scuola e la compagna di banco di Cristina, Claudia, era la migliore amica di Paola: era cominciata così. Esisteva fra loro una sorta di amicizia “di riflesso” che le portava a frequentarsi ogni tanto, ma niente di più. Tra l’altro, Cristina aveva il suo Lorenzo a cui badare e che, geloso com’era, le lasciava poco spazio per le amicizie, maschili o femminili che fossero. Terminata la scuola, ognuna prese strade diverse per cui non ebbero più tante occasioni per incontrarsi, anche perché il loro anello di congiunzione, cioè Claudia, era andata fuori all’Università. Solo dopo qualche anno ricominciarono ad uscire insieme, ma anche questa volta non ebbero fortuna migliore in quanto Cristina seguitava ad avere Lorenzo vicino e Paola, nel frattempo, aveva pensato bene di fidanzarsi pure lei. Poi, in un’estate, la più tremenda che Cristina potesse ricordare, si ritrovarono a vivere la medesima esperienza (si erano entrambe lasciate con i propri fidanzati) che le riavvicinò a tal punto da diventare indivisibili. Avevano sofferto tanto tutt’e due, ma insieme erano riuscite a superare i momenti peggiori. Sapevano di poter contare l’una sull’altra, perché l’una sapeva cosa stava vivendo l’altra e viceversa. Tutto sommato si potevano considerare fortunate: avevano barattato un amore sbagliato con un’amicizia profonda che, piano piano, le avrebbe riscattate di tutti i torti subiti. A poco a poco, seppero superare le iniziali diffidenze per poi tradurle in tante piccole confidenze: ognuna era resa partecipe della vita dell’altra. Alle volte, bastava loro un semplice sguardo per capire, immediatamente, cosa, la loro mente, stesse pensando. Si ritrovarono alleate su ogni fronte. Ogni scelta che faceva una era sottoposta al vaglio dell’altra: difficilmente agivano in disaccordo. Cristina ricordava ancora l’eccitazione che aveva provato nel conoscere Davide... non ci volle molto per contagiare l’amica che, ogni qual volta lo incontrava per puro caso, subito si precipitava ad avvisarla comunicandole tutti i movimenti, i passi e finanche i respiri del povero sventurato! Stessa cosa successe in seguito a Paola, quando conobbe Andrea: fu amore a prima vista e, questa volta, era Cristina a fare da “reporter” quando le capitava di incontrarlo. Insomma, insieme facevano una bella coppia tanto che spesso, prendendosi in giro da sole, vagliavano la possibilità di mettersi insieme loro due. Ne avevano fatte risate, così tante che spesso avevano suscitato il risentimento di Daniele (il suddetto cucciolo, così chiamato perché era più piccolo) che, per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a stare loro dietro. Si volevano davvero un gran bene, tanto che una volta, in occasione di S. Valentino, Cristina regalò a Paola un suo piccolo manoscritto, dove raccontava della loro amicizia. Ricordava ancora la gioia sul volto dell’amica, quando ricevette quel libricino. E quando le chiese una dedica, lei pensò bene di trascriverle una poesia di Elena Oshiro:
Credo in te, amico.
Credo nel tuo sorriso,
finestra aperta del tuo essere.
Credo nel tuo sguardo,
specchio della tua onestà.
Credo nelle tue lacrime,
segno che condividi
gioie o tristezza.
Credo nella tua mano,
sempre stesa per dare o ricevere.
Credo nel tuo abbraccio,
accoglienza sincera del tuo cuore.
Credo nella tua parola,
espressione di quel che ami e speri.
Credo in te, amico, così, semplicemente,
nell’eloquenza del silenzio”.
Mancavano ancora sei ore all’appuntamento con Paola e già non stava più nella pelle: non vedeva l’ora di riabbracciare l’amica e raccontarle i tre anni di vita vissuti lontano, ma non sarebbero state sole, purtroppo, per cui bisognava rimandare le confidenze all’indomani.
Prese svogliatamente le valigie per disfarle e, mentre riponeva la biancheria nel cassetto, le cadde una fotografia che ritraeva lei con tutti gli amici sulla spiaggia. “Bentornata Cristina - disse fra sé e sé - ora non sei più sola”. Si strinse quella foto sul petto, chiuse gli occhi abbandonandosi sul letto e cominciò a pensare a quale grande tesoro avesse trovato in quei sorrisi. Eppure, aveva dentro ancora un senso di solitudine... la solitudine: che argomento controverso! C’è chi la cerca, chi la evita con orrore, chi ci si abbandona, chi, infine, ne ha paura. “Cosa si potrebbe dire di lei, di questo mostro che ci perseguita e ci minaccia continuamente, che gode nel vederci afflitti e disperati?” Istintivamente prese un pezzo di carta con una penna per cercare di catturare quei pensieri che le affollavano la mente. Aveva, fra i suoi sogni più grandi, quello di pubblicare, un giorno, un libro che fosse tutto suo, che parlasse dei suoi sentimenti e per questo prendeva nota di tutto ciò che le passava per la testa. Sfregò un po’ la penna sul foglio finchè l’inchiostro cominciò a fluire e si mise a scrivere: “Solitudine? Si, l’ho provata anch’io, come ogni essere sulla Terra, e non è stata un’esperienza piacevole, di certo non è stata un’esperienza da ripetere... eppure non ritengo di avercela con chi me l’ha causata: non avrebbe più senso ora, ora che sola non lo sono più. In quei momenti ti senti smarrito, ti chiedi dove vai e perché, ti cominci a chiedere quale sia lo scopo della tua vita, ma soprattutto cominci a guardare più obiettivamente la realtà, ridimensionando tutti i giganti che ti eri creata da bambina. Forse, pensandoci bene, la solitudine non è poi così negativa, in fondo ti dà la possibilità di dialogare con l’unica persona che non ti lascerà mai: te stesso! L’importante è cercare di non restare soli troppo a lungo, altrimenti si rischia di diventare freddi, cinici, indifferenti verso il mondo intero”. Alzò gli occhi dal foglio per guardare nuovamente la fotografia e si sorprese a ricambiare quei sorrisi divertiti: “No, io non correrò mai più questo rischio, perché avrò vicino tutti voi!”, pensò mentre, frettolosamente, si sistemò per andare a pranzare. 

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