lunedì 16 gennaio 2012

Con te amico, Capitolo IV

“Penso che nessun’altra cosa ci conforta tanto
come il ricordo di un amico:
la memoria di lui,
la gioia della sua confidenza;
l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui
con assoluta fiducia e tranquillità:
appunto perché amico.
E il desiderio di rivederlo se lontano,
di evocarlo,
quasi per risentirlo vicino,
e udire la sua voce,
e continuare colloqui mai finiti”.
(David M. Turoldo)

Nel pomeriggio Cristina fu davvero molto impegnata: dovette sistemare il resto del bagaglio; andò a salutare la nonna e gli zii; si fece una doccia e poi, finalmente, si dedicò agli amici. Innanzitutto telefonò a Marta, non vedeva l’ora di sentirla per sapere come stava. Durante il viaggio, per ingannare il tempo, si era divertita ad immaginare lo stato d’animo dell’amica: lei, che per ogni minima cosa si faceva prendere dal panico, chissà come doveva sentirsi adesso che era così prossima al matrimonio. Sicuramente l’avrebbe trovata in preda alla confusione ed all’agitazione: “A quest’ora Marco avrà perso il resto dei suoi capelli!” - pensava sorridendo. Purtroppo non potè soddisfare la sua curiosità subito, in quanto Marta era uscita. Lasciò detto alla madre che l’indomani mattina sarebbe passata a trovarla verso le undici e, visto che mancavano ancora tre ore all’appuntamento con Paola, decise di sdraiarsi un po’ sul letto per riposarsi. Dormì circa un’oretta: fu un sonno davvero ristoratore, anche perché le riuscì di sognare di essere in riva al mare, in una giornata estiva, piena di sole, ad immergersi nell’acqua e nuotare, nuotare... d’improvviso fu come se le fossero spuntate le ali: ed eccola librarsi in volo, simile ad un gabbiano, a sfidare il vento, bucare le nuvole, lasciarsi andare alla straordinaria sensazione di libertà che quel volo le suscitava. Fu così che, mentre sognava di eseguire una caduta libera, gettandosi in picchiata fra le onde del mare, cadde dal letto svegliandosi bruscamente. All’udire quel tonfo la madre si precipitò a vedere cosa fosse successo, ma le bastò dare un’occhiata alla figlia per capire l’accaduto e scoppiare in una fragorosa risata. “Guarda che c’è ben poco da  ridere - sbottò Cristina - sono sbattuta e mi sono fatta male! Ho fatto un sogno fantastico: ero finalmente libera, avevo superato ogni ostacolo e stavo volando felice...”
“Ed invece sei caduta come un sacco di patate!”.
Rimessasi in piedi scoppiò a ridere pure lei, insieme alla madre, pensando alla sua imperitura goffaggine: “Mami, sarà per questo che non trovo marito?”
“Anche!” le rispose prendendola un po’ in giro.
“Grazie! Avevo proprio bisogno di questo complimento... bella mamma! Con te cerco grazia e trovo giustizia! Mah! Meglio che cominci a sistemarmi chè fra un po’ arriva Paola. Stasera voglio essere proprio in forma altrimenti, chi li sente quelli là? Comincerebbero a farmi la paternale dicendomi che è tutta colpa di Milano e che è meglio se torno...”
“E non avrebbero ragione? Non faresti meglio a tornare da noi?”
“Oh, mamma! Non ti ci mettere pure tu adesso.. lo sai come stanno le cose, è inutile insistere”
“Come vuoi tu, però sappi che questa resta sempre casa tua e se vorrai restare...”
“Lo so, lo so: ...voi sarete sempre qui ad aspettarmi. Porto ancora impresse, nella mia mente, le parole della lettera che mi scrivesti quando me ne andai. Mi citasti una frase di George Eliot: <<Il conforto, l’inesprimibile conforto di sentirsi a proprio agio con una persona, senza dover pesare i pensieri o misurare le parole, ma lasciandoli sgorgare senza timore, così come vengono, grano e pula insieme, sapendo che una mano fedele saprà setacciarli, tenendo ciò che va tenuto e gettando via il resto con il soffio della gentilezza>>. Comunque, adesso finiamola con questi discorsi perchè è tardi: sono già le sei e mezzo e sono ancora in queste misere condizioni”. Aprì l’armadio e prese un vestitino che aveva da poco comprato a Milano. Era molto grazioso: arrivava sopra il ginocchio; era di chiffon di seta nera con dipinto, quasi sul limitare dell’orlo della gonna, un delicatissimo giglio. Era molto semplice e, al contempo, elegante. Decise di indossarlo con un paio di scarpe nere di raso e, essendo un po’ scollato, pensò bene di sfoggiare un paio di orecchini lunghi, che le arrivavano fin sul collo e terminavano con un piccolo rubino; abbinò l’anello ed il bracciale quindi, raccolti i capelli in uno chignon e truccatasi un po’, si considerò pronta. Era in perfetto orario: mancavano, infatti, appena dieci minuti all’ora dell’appuntamento, giusto il tempo di farsi ammirare dai suoi genitori che non poterono fare a meno di notare come la loro bambina fosse ormai diventata una donna. 

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