“Penso che
nessun’altra cosa ci conforta tanto
come il ricordo di
un amico:
la memoria di lui,
la gioia della sua
confidenza;
l’immenso
sollievo di esserti tu confidato a lui
con assoluta
fiducia e tranquillità:
appunto perché
amico.
E il desiderio di
rivederlo se lontano,
di evocarlo,
quasi per
risentirlo vicino,
e udire la sua
voce,
e continuare
colloqui mai finiti”.
(David M. Turoldo)
Nel
pomeriggio Cristina fu davvero molto impegnata: dovette sistemare il resto del
bagaglio; andò a salutare la nonna e gli zii; si fece una doccia e poi,
finalmente, si dedicò agli amici. Innanzitutto telefonò a Marta, non vedeva
l’ora di sentirla per sapere come stava. Durante il viaggio, per ingannare il
tempo, si era divertita ad immaginare lo stato d’animo dell’amica: lei, che per
ogni minima cosa si faceva prendere dal panico, chissà come doveva sentirsi
adesso che era così prossima al matrimonio. Sicuramente l’avrebbe trovata in
preda alla confusione ed all’agitazione: “A quest’ora Marco avrà perso il resto
dei suoi capelli!” - pensava sorridendo. Purtroppo non potè soddisfare la sua
curiosità subito, in quanto Marta era uscita. Lasciò detto alla madre che
l’indomani mattina sarebbe passata a trovarla verso le undici e, visto che
mancavano ancora tre ore all’appuntamento con Paola, decise di sdraiarsi un po’
sul letto per riposarsi. Dormì circa un’oretta: fu un sonno davvero ristoratore,
anche perché le riuscì di sognare di essere in riva al mare, in una giornata
estiva, piena di sole, ad immergersi nell’acqua e nuotare, nuotare...
d’improvviso fu come se le fossero spuntate le ali: ed eccola librarsi in volo,
simile ad un gabbiano, a sfidare il vento, bucare le nuvole, lasciarsi andare
alla straordinaria sensazione di libertà che quel volo le suscitava. Fu così
che, mentre sognava di eseguire una caduta libera, gettandosi in picchiata fra
le onde del mare, cadde dal letto svegliandosi bruscamente. All’udire quel
tonfo la madre si precipitò a vedere cosa fosse successo, ma le bastò dare
un’occhiata alla figlia per capire l’accaduto e scoppiare in una fragorosa
risata. “Guarda che c’è ben poco da ridere
- sbottò Cristina - sono sbattuta e mi sono fatta male! Ho fatto un sogno
fantastico: ero finalmente libera, avevo superato ogni ostacolo e stavo volando
felice...”
“Ed invece
sei caduta come un sacco di patate!”.
Rimessasi
in piedi scoppiò a ridere pure lei, insieme alla madre, pensando alla sua
imperitura goffaggine: “Mami, sarà per questo che non trovo marito?”
“Anche!” le
rispose prendendola un po’ in giro.
“Grazie!
Avevo proprio bisogno di questo complimento... bella mamma! Con te cerco grazia
e trovo giustizia! Mah! Meglio che cominci a sistemarmi chè fra un po’ arriva
Paola. Stasera voglio essere proprio in forma altrimenti, chi li sente quelli
là? Comincerebbero a farmi la paternale dicendomi che è tutta colpa di Milano e
che è meglio se torno...”
“E non
avrebbero ragione? Non faresti meglio a tornare da noi?”
“Oh, mamma!
Non ti ci mettere pure tu adesso.. lo sai come stanno le cose, è inutile
insistere”
“Come vuoi
tu, però sappi che questa resta sempre casa tua e se vorrai restare...”
“Lo so, lo so: ...voi sarete sempre qui ad
aspettarmi. Porto ancora impresse, nella mia mente, le parole della lettera che
mi scrivesti quando me ne andai. Mi citasti una frase di George Eliot: <<Il conforto, l’inesprimibile conforto di
sentirsi a proprio agio con una persona, senza dover pesare i pensieri o
misurare le parole, ma lasciandoli sgorgare senza timore, così come vengono,
grano e pula insieme, sapendo che una mano fedele saprà setacciarli, tenendo
ciò che va tenuto e gettando via il resto con il soffio della gentilezza>>.
Comunque, adesso finiamola con questi discorsi perchè è tardi: sono già le sei
e mezzo e sono ancora in queste misere condizioni”. Aprì l’armadio e prese un
vestitino che aveva da poco comprato a Milano. Era molto grazioso: arrivava
sopra il ginocchio; era di chiffon di seta nera con dipinto, quasi sul limitare
dell’orlo della gonna, un delicatissimo giglio. Era molto semplice e, al
contempo, elegante. Decise di indossarlo con un paio di scarpe nere di raso e,
essendo un po’ scollato, pensò bene di sfoggiare un paio di orecchini lunghi,
che le arrivavano fin sul collo e terminavano con un piccolo rubino; abbinò
l’anello ed il bracciale quindi, raccolti i capelli in uno chignon e truccatasi
un po’, si considerò pronta. Era in perfetto orario: mancavano, infatti, appena
dieci minuti all’ora dell’appuntamento, giusto il tempo di farsi ammirare dai
suoi genitori che non poterono fare a meno di notare come la loro bambina fosse
ormai diventata una donna.
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