“Tu esisti, ed io ti ho incontrato :
che altro potrei desiderare di più ?”
(L. Sella)
“Pronto,
chi parla ?”, le chiese una ragazza dall’altra parte del filo ; il
momento era giunto, dunque : ora toccava a lei. “C’è Gabriele ?”
“Un
attimo... Pronto ?”
Era
così dunque la sua voce, pacata e caldissima : non poteva essere
altrimenti per un angelo !
“Pronto,
pronto ?”
“Eh
scusa, mi ero distratta un attimo, sei Gabriele, vero ?”
“Si,
ma con chi parlo?”
“Con
un’amica !”, quanto era stata banale ! ! !
“D’accordo,
ma come ti chiami ?”
“Sono...
Federica e ti ho chiamato perché, perché... volevo conoscerti” - disse questo
tutto d’un fiato, quasi senza respirare.
Continuarono
a chiacchierare per circa un quarto d’ora. Quindici minuti che furono quindici
ore per Diana che, ancora, non riusciva a credere che stava parlando proprio
con lui, con il suo sogno, con il suo angelo ! “Mio Dio - pensò - sta
accadendo proprio a me”. Lui fu molto gentile . Le disse che avrebbe avuto
piacere di conoscerla di persona : non era , infatti, corretto che lui non
sapesse con chi stesse parlando.
Lei
provò a spiegargli le sue ragioni ; gli raccontò le sue paure, ciò che
aveva passato ma, ben presto, si rese conto che aveva a che fare con una
persona per bene : sentì di potersi fidare di lui ! Chiuse il
telefono ancora un po’ stordita. Si era preparata tanti discorsi ma, alla fine,
non ne aveva fatto nemmeno uno. Ripensava alla tenerezza di quella voce, alla
gentilezza che le aveva usato. Le aveva detto di farsi sentire quando avrebbero
avuto la possibilità di uscire insieme, tranquillizzandola circa le chiacchiere
della gente. Entrò nella macchina di Isabella e, rivolgendo gli occhi all’amica
disse. “E’ lui !”.
Restarono
in macchina fino a tarda notte, semplicemente guardando le stelle. Era una
notte favolosa e per la prima volta, nella sua vita, Diana credette nella magia
del 10 agosto : la notte delle stelle cadenti in cui tutti i sogni si
avverano.
Si
sentì in colpa per non avergli detto il suo vero nome. Non voleva,
assolutamente, che lui la credesse poco seria e così decise di inviargli una
lettera, il giorno dopo. Arrivata a casa provò forte l’impulso di
scrivere : dentro di lei si stava risvegliando qualcosa. Prese un foglio
di carta e, pensando a lui, cominciò a comporre :
“Parlami di te, se questo ti lusinga
oppure taci e
godiamoci il silenzio.
Lascia
raccontare agli occhi la grandezza del tuo cuore
e poi scruta
nei miei : leggerai la mia anima.
E, alla fine,
stanchi del vociare del silenzio
chiuderemo gli
occhi e aspetteremo... l’infinito !”
Lesse
e rilesse quelle parole : ne era fiera ! Era, nuovamente, riuscita a
scrivere qualcosa ed il merito era tutto suo, del suo preziosissimo angelo. Ora
si che poteva dormire tranquillamente ; gli incubi non le avrebbero
rovinato quei momenti : non lo avrebbe permesso !
Il
mattino arrivò placidamente ; dalle persiane s’intravedevano i raggi del
sole che facevano capolino, timidamente, quasi avessero paura di svegliarla. Ma
Diana era già sveglia e sorrideva ; sorrideva a quello spettacolo
mattutino offertole gratuitamente da madre natura.
In
casa c’era silenzio : dormivano ancora tutti e, così, decise di
approfittare di quella calma per scrivere la sua lettera. Gli avrebbe rivelato
la sua vera identità ; gli avrebbe spiegato meglio le ragioni del suo
comportamento ; gli avrebbe lasciato il suo numero di telefono, così lui
l’avrebbe potuta chiamare se avesse voluto. La scrisse tutta d’un fiato e,
quando la madre si alzò, lei aveva già finito di trascrivere in bella copia
tutto quello che il suo cuore le aveva dettato.
La spedì quella stessa mattina affidando, a quel pezzo di carta, le sue
speranze.
Ora,
si trattava solo di attendere. Doveva aspettare che lui si facesse vivo :
furono i giorni più lunghi della sua vita. Ne passarono cinque senza che il
telefono squillasse ! Ormai, aveva perso ogni speranza : non
l’avrebbe mai chiamata. Ripensava a quanto gli aveva scritto, forse aveva
sbagliato qualcosa, ma cosa ? Era stata abbastanza chiara con lui, glielo
aveva detto che voleva solo la sua amicizia : “Mi piacerebbe, tuttavia, telefonarti qualche altra volta, così,
giusto per parlare anche se mi rendo conto che la sera arrivi a casa abbastanza
stanco e, quindi, non hai certamente voglia di stare al telefono con un
“fantasma”... fuori di testa.”. Forse lui non le aveva creduto e, leggendo
fra le righe, aveva pensato che fosse tutta una scusa per uscire insieme e...
provarci. Arrivò così il sesto giorno : era pesante, adesso, alzarsi la
mattina. Un altro giorno di silenzio : non avrebbe retto. Doveva uscire,
svagarsi, pensare ad altro. Chiamò Isabella e uscirono insieme subito dopo.
All’improvviso si udì un telefono squillare, Diana lo prese, svogliatamente,
dalla borsa credendo si trattasse di uno dei tanti squilli che, da un po’ di
tempo, le stavano arrivando ma, con sua grande sorpresa, lesse sul display che
si trattava proprio di lui : di Gabriele. Rispose tremando : “Pronto,
chi parla ?”
“Sono...
un amico !”
Si
metteva pure a fare il simpatico, adesso, ma quella battuta le piacque assai.
Parlarono per circa un’ora, raccontandosi le reciproche esperienze ; le
proprie passioni ; la propria vita. Sembrava fosse davvero un bravo
ragazzo : semplice, tranquillo, schietto ma, soprattutto, dolce, di una
dolcezza che Diana, sicuramente, ignorava ma di cui, si rendeva conto, aveva un
gran bisogno. Le aveva dato l’impressione di essere una persona molto sensibile
e, cosa non trascurabile, molto attenta ai problemi del prossimo. Forse questa
volta aveva fatto davvero centro, ma chi le dava questa certezza ?
Cominciarono
ad affollarsi, nella sua mente, tanti dubbi, tanti timori ma la cosa che, più
di tutte, la terrorizzava era la possibilità che lui la rifiutasse. Come
avrebbe potuto sopportare di sentirsi, nuovamente, respinta ? Non le era
bastata la precedente esperienza ? Sentiva la testa che le scoppiava :
era felice, sicuramente, ma aveva tanta paura.
Confidò
all’amica i suoi pensieri : forse parlandone sarebbe riuscita a scacciare
quei fantasmi una volta per sempre. Le fece bene quella confidenza. In ogni
caso, aveva trovato in Isabella un valido sostegno morale e, così, decise di
non pensarci almeno fino a quando non fosse rientrata a casa. Lì l’avrebbe
chiamato ; sarebbero usciti insieme, per come si erano detti, e poi... “se
sono rose fioriranno !”.
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