venerdì 2 marzo 2012

Capiitolo VI


“Tu esisti, ed io ti ho incontrato :
che altro potrei desiderare di più ?”
(L. Sella)

“Pronto, chi parla ?”, le chiese una ragazza dall’altra parte del filo ; il momento era giunto, dunque : ora toccava a lei. “C’è Gabriele ?”
“Un attimo... Pronto ?”
Era così dunque la sua voce, pacata e caldissima : non poteva essere altrimenti per un angelo !
“Pronto, pronto ?”
“Eh scusa, mi ero distratta un attimo, sei Gabriele, vero ?”
“Si, ma con chi parlo?”
“Con un’amica !”, quanto era stata banale ! ! !
“D’accordo, ma come ti chiami ?”
“Sono... Federica e ti ho chiamato perché, perché... volevo conoscerti” - disse questo tutto d’un fiato, quasi senza respirare.
Continuarono a chiacchierare per circa un quarto d’ora. Quindici minuti che furono quindici ore per Diana che, ancora, non riusciva a credere che stava parlando proprio con lui, con il suo sogno, con il suo angelo ! “Mio Dio - pensò - sta accadendo proprio a me”. Lui fu molto gentile . Le disse che avrebbe avuto piacere di conoscerla di persona : non era , infatti, corretto che lui non sapesse con chi stesse parlando.
Lei provò a spiegargli le sue ragioni ; gli raccontò le sue paure, ciò che aveva passato ma, ben presto, si rese conto che aveva a che fare con una persona per bene : sentì di potersi fidare di lui ! Chiuse il telefono ancora un po’ stordita. Si era preparata tanti discorsi ma, alla fine, non ne aveva fatto nemmeno uno. Ripensava alla tenerezza di quella voce, alla gentilezza che le aveva usato. Le aveva detto di farsi sentire quando avrebbero avuto la possibilità di uscire insieme, tranquillizzandola circa le chiacchiere della gente. Entrò nella macchina di Isabella e, rivolgendo gli occhi all’amica disse. “E’ lui !”.
Restarono in macchina fino a tarda notte, semplicemente guardando le stelle. Era una notte favolosa e per la prima volta, nella sua vita, Diana credette nella magia del 10 agosto : la notte delle stelle cadenti in cui tutti i sogni si avverano.
Si sentì in colpa per non avergli detto il suo vero nome. Non voleva, assolutamente, che lui la credesse poco seria e così decise di inviargli una lettera, il giorno dopo. Arrivata a casa provò forte l’impulso di scrivere : dentro di lei si stava risvegliando qualcosa. Prese un foglio di carta e, pensando a lui, cominciò a comporre :
Parlami di te, se questo ti lusinga
oppure taci e godiamoci il silenzio.
Lascia raccontare agli occhi la grandezza del tuo cuore
e poi scruta nei miei : leggerai la mia anima.
E, alla fine, stanchi del vociare del silenzio
chiuderemo gli occhi e aspetteremo... l’infinito !”

Lesse e rilesse quelle parole : ne era fiera ! Era, nuovamente, riuscita a scrivere qualcosa ed il merito era tutto suo, del suo preziosissimo angelo. Ora si che poteva dormire tranquillamente ; gli incubi non le avrebbero rovinato quei momenti : non lo avrebbe permesso !
Il mattino arrivò placidamente ; dalle persiane s’intravedevano i raggi del sole che facevano capolino, timidamente, quasi avessero paura di svegliarla. Ma Diana era già sveglia e sorrideva ; sorrideva a quello spettacolo mattutino offertole gratuitamente da madre natura.
In casa c’era silenzio : dormivano ancora tutti e, così, decise di approfittare di quella calma per scrivere la sua lettera. Gli avrebbe rivelato la sua vera identità ; gli avrebbe spiegato meglio le ragioni del suo comportamento ; gli avrebbe lasciato il suo numero di telefono, così lui l’avrebbe potuta chiamare se avesse voluto. La scrisse tutta d’un fiato e, quando la madre si alzò, lei aveva già finito di trascrivere in bella copia tutto quello che il suo cuore le aveva dettato.  La spedì quella stessa mattina affidando, a quel pezzo di carta, le sue speranze.
Ora, si trattava solo di attendere. Doveva aspettare che lui si facesse vivo : furono i giorni più lunghi della sua vita. Ne passarono cinque senza che il telefono squillasse ! Ormai, aveva perso ogni speranza : non l’avrebbe mai chiamata. Ripensava a quanto gli aveva scritto, forse aveva sbagliato qualcosa, ma cosa ? Era stata abbastanza chiara con lui, glielo aveva detto che voleva solo la sua amicizia : “Mi piacerebbe, tuttavia, telefonarti qualche altra volta, così, giusto per parlare anche se mi rendo conto che la sera arrivi a casa abbastanza stanco e, quindi, non hai certamente voglia di stare al telefono con un “fantasma”... fuori di testa.”. Forse lui non le aveva creduto e, leggendo fra le righe, aveva pensato che fosse tutta una scusa per uscire insieme e... provarci. Arrivò così il sesto giorno : era pesante, adesso, alzarsi la mattina. Un altro giorno di silenzio : non avrebbe retto. Doveva uscire, svagarsi, pensare ad altro. Chiamò Isabella e uscirono insieme subito dopo. All’improvviso si udì un telefono squillare, Diana lo prese, svogliatamente, dalla borsa credendo si trattasse di uno dei tanti squilli che, da un po’ di tempo, le stavano arrivando ma, con sua grande sorpresa, lesse sul display che si trattava proprio di lui : di Gabriele. Rispose tremando : “Pronto, chi parla ?”
“Sono... un amico !”
Si metteva pure a fare il simpatico, adesso, ma quella battuta le piacque assai. Parlarono per circa un’ora, raccontandosi le reciproche esperienze ; le proprie passioni ; la propria vita. Sembrava fosse davvero un bravo ragazzo : semplice, tranquillo, schietto ma, soprattutto, dolce, di una dolcezza che Diana, sicuramente, ignorava ma di cui, si rendeva conto, aveva un gran bisogno. Le aveva dato l’impressione di essere una persona molto sensibile e, cosa non trascurabile, molto attenta ai problemi del prossimo. Forse questa volta aveva fatto davvero centro, ma chi le dava questa certezza ?
Cominciarono ad affollarsi, nella sua mente, tanti dubbi, tanti timori ma la cosa che, più di tutte, la terrorizzava era la possibilità che lui la rifiutasse. Come avrebbe potuto sopportare di sentirsi, nuovamente, respinta ? Non le era bastata la precedente esperienza ? Sentiva la testa che le scoppiava : era felice, sicuramente, ma aveva tanta paura.
Confidò all’amica i suoi pensieri : forse parlandone sarebbe riuscita a scacciare quei fantasmi una volta per sempre. Le fece bene quella confidenza. In ogni caso, aveva trovato in Isabella un valido sostegno morale e, così, decise di non pensarci almeno fino a quando non fosse rientrata a casa. Lì l’avrebbe chiamato ; sarebbero usciti insieme, per come si erano detti, e poi... “se sono rose fioriranno !”.  

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