venerdì 2 marzo 2012

Capitolo V


“ Amare, venire spesso feriti e amare di nuovo :
questa è la vita coraggiosa e felice.”
(S. E. Buckrose)

Trascorse circa una settimana, da quella sera, senza che ci fossero state novità esaltanti. L’unico episodio nuovo, infatti, fu che Diana era riuscita ad avere il suo numero di telefono. Lo ripose gelosamente nel portafogli, quindi, cominciò a preparare i bagagli: tutta la famiglia, infatti, stava per partire per la consueta vacanza d’agosto, in montagna. “Un mese passa in fretta”  pensò tra sé e sé mentre, con la macchina, si lasciava alle spalle il suo mare, i suoi amici ... il suo Gabriele. Giunse a destinazione che era ormai sera ; giusto il tempo di disfare la valigia e poi, “a nanna”. Aveva fretta di stendersi sul letto e pensare... sognare. Prima di prendere sonno rivolse una preghiera al suo Signore affinché stesse vicino a quel dolcissimo angelo biondo e, subito, si addormentò. Il giorno dopo conobbe Isabella, una ragazza pacioccona con due grandi occhi dolci, che la prese subito in simpatia. Diana sentì che si poteva fidare di lei e così cominciò ad uscirci insieme. Dopo pochi giorni erano diventate amiche per la pelle, unite da un grande affetto ed una profonda stima.
Fu così che, una sera, Diana raccontò alla sua amica della dolorosa esperienza vissuta con Edoardo; dei brutti momenti che aveva trascorso e che, anche se più raramente, stava ancora vivendo ; della speranza che era nata dopo quel sogno e, quindi, del suo Gabriele. Si capiva bene, da quelle parole, che c’era in lei un’immensa voglia di ricominciare ; l’ardente desiderio di tornare ad amare ma, questa volta, la persona giusta. Le raccontò di come avesse perso anche la passione per la poesia : lei, che aveva sempre amato comporre inni che inneggiassero all’amore, alla vita, adesso non riusciva più nemmeno a tenere la penna in mano. Si soffermò, con una nota di dolore, sul giorno dell’addio e su quello della scoperta della verità e, prese, nuovamente, a piangere per quell’umiliazione così profonda che, sicuramente, non meritava. L’amica l’ascoltava attenta, in un misto di dolore e tenerezza. Non riusciva a capire come avessero potuto farle tutto quel male, con quale coraggio la si era tradita così spudoratamente. Non sapeva cosa dire, ma qualcosa doveva pur fare e così, all’improvviso, esordì : “Perché non usi quel numero di telefono ?”. Diana la guardò incredula : non capiva se stesse scherzando oppure facesse sul serio. Non aveva mai pensato all’ipotesi di una telefonata ; aveva, si, conservato il numero ma, certamente, non per usarlo. Tuttavia, si accorse che l’idea la stuzzicava e non poco. In fondo, non avrebbe dovuto dirgli per forza chi era, per cui, se fosse andata male, lei non avrebbe rischiato nulla e nessuno avrebbe potuto prenderla in giro o, peggio ancora, parlare male di lei. “Ci penserò, prometto : stasera ci penserò !”. Dopo cena andò subito a coricarsi : infatti, nella solitudine della sua stanza riusciva a isolarsi dal mondo e pensare, finalmente, a se stessa. Cercò mille ragioni che la distogliessero dall’idea di telefonargli ma nessuna di queste le sembrò valida. Decise, pertanto, di chiamarlo la sera successiva : avrebbe finalmente sentito la sua voce e, chissà, magari avrebbe anche capito che genere di persona fosse.
Trascorse la notte in bianco ma, questa volta, non per i soliti incubi che la ossessionavano, bensì perché cercava di immaginare cosa avrebbe potuto dire l’indomani al suo angelo. Cercava di costruire un discorso che fosse, il più possibile, sensato. Le avrebbe sicuramente chiesto come si chiamava e lei, cosa avrebbe risposto ? Certamente non poteva dirgli il suo vero nome : doveva inventarsene uno al più presto ! Federica, si, gli avrebbe detto che si chiamava Federica : le era sempre piaciuto questo nome e, poi, le ricordava una sua vecchia compagna di scuola con cui aveva condiviso tante belle esperienze ; era convinta che le avrebbe portato fortuna. Certo, non era un bell’esordio : iniziare con una bugia non era certo il massimo della vita, ma doveva pur tutelarsi in qualche modo. Nel piccolo centro dove abitavano le voci facevano in fretta a circolare e, il più delle volte, circolavano sempre nel senso sbagliato. Sicuramente, se la cosa fosse andata avanti fra di loro, lui le avrebbe perdonato questa piccola falsità altrimenti... che angelo era ?
Sentì rumori provenire dalla cucina e capì che doveva essersi fatto giorno. Si alzò e vide la madre che stava preparando la colazione :
“Buongiorno, dormito bene questa notte ?”, la mamma le stava sorridendo ed, intanto, scrutava sul suo volto per trovarvi i segni dell’insonnia.
“Buongiorno. Non preoccuparti, ho dormito” mentì, ma proprio non sapeva come spiegarle che le ragioni della sua veglia, questa volta, erano state ben altre.
In tarda mattinata telefonò ad Isabella per comunicarle la sua decisione e per prendere accordi per la serata. Dall’altra parte del filo l’amica si complimentava con lei per la scelta ed, in cuor suo, sperava che tutto andasse per il meglio : Diana se la meritava un po’ di gloria ed era sicura che ci sarebbe stata, finalmente, per lei la pace, dopo tutta quella tempesta. Decisero di incontrarsi per le 21 :00, così avrebbero avuto tutto il tempo di “rifinire” i particolari per quella telefonata.
La serata era tranquilla ma si sentiva l’aria frizzante di montagna.
Raggiunsero con la macchina una cabina telefonica un po’ appartata e, dopo un rapido sguardo al cielo Diana s’incamminò per telefonare.
“E’ la notte di S. Lorenzo - pensò - chissà se lassù c’è una stella pronta a cadere per esaudire i miei desideri. Vorrei tanto non essermi sbagliata, vorrei tanto... che fosse la persona giusta”. Infilò la scheda nell’apparecchio telefonico, trasse un profondo respiro e, con le mani tremanti, cominciò a digitare il suo numero : cifra dopo cifra... “Ecco, ora squilla !”.

Nessun commento:

Posta un commento